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Le quotate giocano in difesa

di Angelo Busani

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27 ottobre 2008


Gli impetuosi ribassi di valore di molte società quotate rendono più facile la loro scalata mediante incetta di titoli sul mercato a prezzi particolarmente convenienti.
Ipotesi realistica e temuta, tanto che anche i Governi nazionali stanno scendendo in campo per salvaguardare le imprese domestiche da take over stranieri. Il nostro Esecutivo sta così valutando misure per attenuare i divieti (cosiddetta passivity rule) che impediscono alle società destinatarie di un'offerta pubblica di acquisto (Opa) l'adozione di misure per contrastare lo scalatore.
Le società che si sentono sotto scacco o temono di finirci possono peraltro impostare per tempo – a prescindere dalla politica – tutta una serie di strategie difensive, in particolare con l'introduzione di apposite clausole statutarie messe a punto dalla prassi professionale che le raggruppa sotto la denominazione poison pills, pillole avvelenate, come si vedrà più estesamente negli altri articoli di questa pagina.
Che cosa è l'obbligo
Ora analizziamo, invece, la passivity rule e cioè l'obbligo di "stare fermi" o, visto in negativo, del "divieto di difendersi": con questa espressione si fa riferimento alle norme, contenute nel Testo unico della finanza (il "Tuf", e cioè il Dlgs 58/1998) introdotte dal nostro legislatore per calmierare, come detto, gli eventuali comportamenti di contrasto all'Opa ostile che gli amministratori della società target potrebbero tenere.
Il fondamento della norma sta nel fatto che l'efficienza del mercato sarebbe minata da atteggiamenti che limitino la contendibilità delle società. Ma in un periodo come l'attuale – dove la capitalizzazione di molte società è ritenuta di gran lunga inferiore al loro valore reale – probabilmente vanno considerate prevalenti le ragioni di difesa delle società da appetiti esterni (provocati dal basso prezzo delle azioni) rispetto a quelle che, in epoche non turbolente, inducono il legislatore a ritenere opportuna la vigenza della passivity rule.
Ed è proprio per questo che c'è pressione per allentare le regole che limitano le difese delle società sotto scalata.
L'attuale articolo 104 del Tuf prevede che, salvo autorizzazione dell'assemblea (che deve comunque deliberare con il voto favorevole di almeno il 30% del capitale sociale, salvo che siano applicabili norme che impongono maggioranze più elevate), le società italiane quotate i cui titoli siano oggetto di offerta pubblica di acquisto devono astenersi «dal compiere atti od operazioni che possono contrastare il conseguimento degli obiettivi dell'offerta». Si pensi, ad esempio, alla decisione di cedere asset strategici oppure di effettuare un rilevante investimento che indebiti la società e che ne deprima la futura redditività.
In altri termini, le misure difensive si possono compiere solo con l'autorizzazione dei soci: gli amministratori non possono fare da soli, anche se teoricamente ne avrebbero la competenza.
I limiti
Va precisato peraltro che, di recente, è stata introdotta la norma (articolo 2 del Dlgs 229/2007) secondo cui la regola di divieto di erigere difese è applicabile solo «a condizione di reciprocità», e cioè solo se l'offerta pubblica è promossa da chi è altrettanto soggetto a queste disposizioni. E quindi, ad esempio, non vale se chi lancia l'Opa è una società appartenente a un ordinamento nel quale la passivity rule non esiste.
L'articolo 104-bis del Tuf dispone inoltre che, nel periodo di adesione all'offerta, non hanno effetto nei confronti dell'offerente le limitazioni al trasferimento di titoli previste nello statuto della società sotto attacco e che neppure hanno effetto, nelle assemblee chiamate a decidere sugli atti e le operazioni di difesa dall'offerta, le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o da patti parasociali.

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